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Amo catturare nei miei scatti,
quei piccoli tessitori di vetro,
che danzano tra ombre e luci,
mostrando il loro regno silenzioso.
Nell’arte che tanti temono,
scopro la bellezza e l’incanto,
un brivido che sa di meraviglia,
trasformando il terrore in poesia.
E così, ogni ragno diventa
un segreto da svelare,
un emblema di vita,
nella tela che io stessa creo.
Poesia a parte, davvero amo fotografare i ragni perché in quegli istanti catturo la bellezza di creature delicate e spesso incomprese, trasformando il loro fascino enigmatico in un’arte visiva.
Ogni scatto diventa un atto d’amore, un modo per rivelare il loro mondo misterioso e affascinante.
Quando la meraviglia si impossessa di chi li osserva, lasciando da parte la paura, sento nel cuore una gioia profonda, come se avessi svelato un segreto prezioso, il riconoscimento di un legame invisibile tra esseri così diversi, noi e loro: pura meraviglia. 🕷❤️
Le festività precristiane suscitano in me una profonda curiosità!
Ad esempio, oggi a Roma, si rendeva omaggio a Feronia, la divinità che protegge boschi e sorgenti, una guardiana che danza con le ombre e le creature selvatiche (diversa da Diana che era considerata più indomabile e ferina).
“Feronia” deriva dal latino “ferus”, traducibile come “selvaggio”, “non coltivato”, “libero”. Dalla medesima radice proviene la parola “fiera”, intesa come bestia selvaggia.
Primordiale Madre Natura degli antichi Romani, Feronia era anche associata a tutto ciò che emergeva spontaneamente dal sottosuolo, senza intervento umano, perciò rappresentata come dea della fertilità indomita e delle sorgenti.
Questo legame con le profondità la collegava all’inverno ormai vicino e alle divinità dell’aldilà. Anche per questo motivo, la sua celebrazione avveniva a novembre, mese legato ai riti funebri.
In questo periodo, la Natura si prepara a riposare, ma sotto la morsa del freddo la vita continua a prosperare. Le riserve per l’inverno, raccolte dagli antichi in questa stagione, erano fondamentali e associate soprattutto alla caccia. La prosperità degli animali nei boschi dipendeva da Feronia: rendere omaggio a questa dea era dunque cruciale per la sopravvivenza.
Feronia era quindi una divinità che proteggeva la natura ma era anche la dea della fecondità, anche dei dei campi. I contadini infatti ogni 13 novembre offrivano una parte del loro raccolto a Feronia, affinché poi il raccolto successivo potesse essere altrettanto rigoglioso.
Essendo una divinità pre-romana, Feronia richiama l’immagine di una sciamana, una figura mistica e primordiale, benevola verso coloro che vivevano nel suo regno.
Portava ordine nel disordine e generava la vita; le sue conoscenze restavano inaccessibili agli uomini “civili”, ma non per coloro che osavano avvicinarsi a lei.
Riflettendo, la natura selvaggia si trova nelle profondità di ciascuno di noi, inibita dall’egocentrismo e dalla illusoria sensazione di superiorità umana.
Feronia rappresentava un collegamento tra l’incolto, il selvaggio e quello che è coltivato: è un collegamento tra due sfere, naturale e civile, che dovrebbero coesistere in armonia, senza escludersi. È una dea mediatrice che favorisce il dialogo fra la selva e la città, fra il mondo manifestato e l’aldilà, fra invisibile e visibile, con una funzione sciamanica di passaggio fra i mondi.
Armonia: la dea era proprio portatrice dell’armonia, sia nella natura che negli uomini. Era considerata una divinità che liberava i devoti da uno stato di vuoto e di prigionia e che li conduceva poi alla felicità. Era la dea della rinascita ed era particolarmente amata dagli schiavi. Ogni 13 novembre nei templi di Feronia avveniva una cerimonia che liberava gli schiavi dal loro stato di prigionia e che li rendeva liberi.
Feronia era dopotutto una dea libera come la natura e non poteva permettere che i propri devoti fossero degli schiavi.
L’animale sacro di Feronia era il Picchio, simbolo del fuoco e della forza creativa in molte culture indoeuropee. L’elemento fuoco, distruttivo e generativo, riflette l’idea di una foresta che utilizza il fuoco per liberarsi di piante morte e rinnovarsi. Molte specie infatti necessitano degli incendi per disperdere i loro semi nella cenere fertile.
Torna, quindi, il legame tra il regno dei defunti e quello dei vivi attraverso Feronia, dea del “sole nascente” che attende sottoterra prima di rivelarsi in un nuovo giorno, in armonia con il Creato.
Naturalmente fu demonizzata dalla chiesa, i suoi templi distrutti e le sue statue fatte a pezzi. Il suo culto era celebrato in particolare nell’area del Lazio e a Capena, dove si trovavano templi dedicati a lei, e le sue festività includevano rituali di offerta per garantire buone raccolte e salute.
Anche noi abbiamo bisogno di trasformazione e rinnovamento, come fiori che sbocciano dopo l’inverno. È nella profondità della nostra anima che si sviluppa la metamorfosi più intima, dove il nostro antico “Io” ha bisogno di dissolversi per lasciar spazio a un nuovo cammino, luminoso e ricco di cambiamenti.
In questo delicato periodo nel quale viviamo, è tempo di volgere lo sguardo verso la Madre Natura, riconoscendo che non siamo solo suoi discendenti, ma anche custodi delle sue meraviglie.
E allora che Feronia, la dea della rinascita e della crescita, illumini sempre il nostro sentiero, guidandoci verso scelte di amore e rispetto per la Terra.
Nessuno è perfetto!
Nemmeno questo funghetto…
A questo ho pensato facendo questa foto. Spesso quando fotografo, penso e rifletto molto…
La fotografia dal mio punto di vista non è solo trasmettere la bellezza che ci circonda, è anche comunicare: stati d’animo, idee, riflessioni…
Troppo spesso si vedono foto splendide, accattivanti, che ci lasciano senza fiato da quanto sono meravigliose, impeccabili da un punto di vista tecnico/estetico ma che poi… tendiamo a dimenticare perchè ci hanno solo fatto vedere la bellezza e magari proprio la perfezione dello scatto.
Mentre scattavo, stavo proprio riflettendo sul fatto che il perfezionismo per assurdo può ostacolare la nostra crescita.
Senza cadute, perdiamo la bellezza e i colori della vita.
Non serve essere perfetti per tutti; è importante invece essere speciali per qualcuno, accettando le nostre imperfezioni.
Magari il segreto è proprio questo: liberarsi dal bisogno di perfezione per scoprire la vera bellezza della vita!🥰
Quando l’autunno abbraccia il Carso, i colori dello Scotano si trasformano in un’opera d’arte che danza tra il rosso, l’arancione e il giallo offrendoci un’esperienza visiva incantevole.
Per un attimo, ci lasciamo avvolgere da questa tavolozza, dimenticando che, al di sotto, si cela un altopiano roccioso calcareo, le cui rocce dure e bianche raccontano storie di tempi antichi.
Eppure, è proprio nel contrasto tra la tenacia di quelle rocce carbonatiche e la grazia del foliage della “foiarola” che si svela un’affascinante bellezza, un semplice scorcio di Carso che ci invita a fermarci, a respirare e a meravigliarci.
“Chiudi quegli occhi e fa volare la tua anima”
Le damigelle, delicate creature che ci regalano la loro ultima danza, portano con sé un dolce sentimento di fine estate e un delicato ricordo dei raggi di sole che ci hanno riscaldato.
Ci prepariamo così ad abbracciare un momento di introspezione e riflessione: l’autunno, avvolto in colori caldi e profumi di terra, è un invito a raccogliere i propri pensieri e a prepararsi all’abbraccio dell’inverno, che, pur nel suo silenzio, nutre la speranza di un nuovo risveglio, mentre la primavera riporta la luce e la bellezza di un ciclo che ricomincia.
Come avviene frequentemente in natura, esiste una notevole differenza morfologica tra i membri della stessa specie ma di sesso diverso.
Amati… odiati… temuti…
Il momento dell’anno più cruciale per gli anfibi è arrivato: sono iniziate le migrazioni che li condurranno verso gli stagni per la deposizione delle preziose uova.
Gli anfibi (tutelati dalla Convenzione di Berna) sono stati la prima classe di vertebrati ad essersi avventurati sulla terraferma. La loro è una storia antichissima, iniziata ben 150 milioni di anni prima della comparsa dei dinosauri! Direi che questo è già un motivo per il quale meritano la nostra attenzione!
Già a partire dal loro nome si può intuire qualcosa sulla loro ecologia: la parola anfibio deriva dal greco (αμφίβιο) e significa dalla doppia vita. Infatti, per vivere dipendono da un delicato equilibrio tra l’ambiente acquatico e l’ambiente terrestre.
La loro sopravvivenza e il viaggio che gli anfibi devono affrontare in questo periodo presenta notevoli difficoltà. Queste difficoltà sono legate sia alle strade trafficate e ai tanti ostacoli che devono attraversare (muretti, marciapiedi, tombini…) per completare la loro migrazione, sia alle condizioni meteorologiche e climatologiche (carenza d’acqua nei siti di riproduzione, prolungati periodi di siccità e ondate di caldo sempre più numerose… ).
Per questo motivo è importante che gli utenti della strada prestino molta attenzione durante i periodi migratori laddove rane e rospi attraversano regolarmente le strade, in particolare le sere in cui piove o è molto umido.
Ogni anno associazioni e volontari (tra cui la Associazione ambientalisti Eugenio Rosmann) si attivano in azioni per il recupero e salvataggio di rospi, rane etc.. Come? Spostandoli delicatamente dalla strada.
Vengono adottate tutte le attenzioni e precauzioni necessarie per non danneggiare la loro pelle, fine e delicata, particolarmente soggetta all’essicazione. Per svolgere correttamente la sua funzione, la pelle degli anfibi deve essere mantenuta umida così da poter scambiare ossigeno e anidride carbonica con l’ambiente circostante e assorbire i liquidi per via cutanea.
Purtroppo molti rospi non ce la fanno e trovano la loro morte sulla strada, travolti dalle macchine, come si vede nella foto.
E’ una fine davvero triste. In certi punti si contano centinaia di rospi schiacciati. Si sta cercando qualche soluzione (sottopassi) per permettere a queste innocenti creature di mettersi in salvo.
I rospi, secondo me bellissimi (avete mai osservato i loro occhi da vicino?), sono inoltre molto utili nell’ecosistema poiché si nutrono di insetti dannosi per le colture, fungendo così da controllo naturale delle infestazioni. Sono indicatori della qualità ambientale dato che la loro presenza è correlata ad ambienti sani e non inquinati.
Il Rospo comune è una specie protetta dalla Convenzione di Berna, Direttiva Habitat dell’Unione europea e dal Regolamento per la tutela della flora e fauna di importanza comunitaria e di interesse regionale, in esecuzione dell’art. 96 della Legge regionale 23 aprile 2007, n.9 (Norme in materia di risorse forestali), come modificato da ultimo dal DPReg.4 luglio 2022 , n.80/pres.
Molti altri per fortuna, come in una favola, superando gli ostacoli e le sfide sul loro cammino, trovano il loro stagno e il ciclo della vita può continuare!
Finalmente nevica in montagna ed è una gioia, sempre!
Purtroppo le previsioni davano solo una giornata nella quale si sarebbe potuta verificare con una certa probabilità una bella nevicata… e allora meglio non perdere l’occasione e scappare in montagna!
La bellezza di una nevicata in un bosco è un vero spettacolo per gli occhi e per il cuore!
Delicati e leggeri fiocchi di neve accarezzano i rami degli alberi, creando un manto bianco che quasi copre tutto il paesaggio.
I suoni si attenuano, ci circonda un’atmosfera di tranquillità.
Ci si trova in un mondo incantato, dove tutto sembra immobile e silenzioso.
È un momento prezioso, da apprezzare e ammirare, che ci ricorda la bellezza e la magia della natura incontaminata.
Perché, al di là di tutti i discorsi più seri…, la neve mi riempie di allegria! E non immaginate quanto!
E poi si possono fare tante belle fotografie, proprio giocando con i fiocchi di neve!
Mi pare di tornare bambina 🙂 Sarà per quello che mi piace così tanto?
Nel Carso in autunno si assiste a una danza di colori: giallo, arancione e rosso.
Nell’intricato intreccio dello scotano, qualche fogliolina resiste all’inevitabile evolvere della stagione.
L’autunno dura sempre troppo poco. E poco durano anche le giornate, ma forse questa brevità rende tutto così bello e speciale.
E non posso non pensare al principio giapponese del Mono No Aware, l’impermanenza, che in questa stagione in Carso si manifesta.
La luce calda del tramonto accende ancor di più i colori, saluto quest’ultima fogliolina rossa, da domani forse qui resterà solamente un groviglio di rami, spogli e nudi, in attesa della rinascita.
C’è una parola che descrive la mia sensazione nell’osservare i dettagli di questa immagine: resilienza.
Quando mi sono trovata davanti a questo spettacolo, lo sguardo era magneticamente attratto da loro: gli alberi sul crinale.
La prima cosa alla quale ho pensato, nello stupore e meraviglia della scena, è stata proprio la resilienza, una qualità che tutti dovremmo sviluppare.
Resilienza… la capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Così viene definita. E chi più delle piante ce lo può insegnare?
Sono esseri viventi nati molto tempo prima dell’uomo, adattati a vivere nelle condizioni più diverse, e rimanendo immobili hanno inventato strategie di sopravvivenza che l’uomo non si sogna nemmeno…. infatti l’uomo le sfrutta… e questo è un altro discorso. Lungo.
Resto il fatto che le piante sono meravigliose e dagli alberi abbiamo tanto ma tanto da imparare!